La recente ordinanza n. 1946/2023 del Tribunale Amministrativo del Lazio, pubblicata il 6 aprile 2023, ha respinto il ricorso cautelare proposto di Meta Platforms Ireland Ltd., società proprietaria del noto social media Facebook (“Meta”), avverso un’ordinanza ingiunzione emessa nei suoi confronti da parte dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (“Agcom” o l’”Autorità”) lo scorso 14 dicembre 2022. Nel caso di specie, l’Agcom aveva sanzionato Meta per la violazione del divieto di pubblicità di giochi con vincite in denaro e di gambling sulla piattaforma Facebook, di sua proprietà, in base all’art. 9 del c.d. Decreto Dignità (D.L. n. 87/2018, convertito dalla L. n. 96/2018), per una somma pari a 750 mila euro. Meta, nel ricorso cautelare, aveva evidenziato come, a suo avviso, l’Agcom pretendesse di fatto una sorveglianza attiva dei contenuti sponsorizzati e perciò le imponesse di “adattare il proprio modello di business a un nuovo regime di responsabilità”, aggravandone così la violazione della libertà di impresa. Il Tar, tuttavia, respingendo le doglianze della ricorrente, ha affermato che – diversamente da quanto sostenuto da Meta – si trattava di un’ordinanza “espressamente” limitata ai soli utenti business che avevano pubblicato i contenuti oggetto del provvedimento e volta a impedire a ciascuno utente business autore dei contenuti sponsorizzati oggetto del procedimento, la promozione, attraverso la piattaforma, di contenuti identici o equivalenti, in violazione del divieto sancito dall’art. 9 del Decreto Dignità (c.d. notice & stay down[1]). Il Tribunale amministrativo ha altresì precisato che anche laddove il provvedimento avesse prefigurato una condotta da adottare con riferimento a tutti gli utenti business in caso di sponsorizzazione del gioco d’azzardo, da ciò non si potrebbe ritenere che derivi la necessità da parte di Meta di trasformare il modello di business praticato. Infatti, risulta che, già allo stato attuale, Meta, con riferimento ai contenuti che sponsorizzano il gioco d’azzardo, svolga una specifica attività di controllo preventivo con rilascio di una “autorizzazione scritta” alla pubblicazione della singola inserzione. Il provvedimento dell’Agcom nei confronti di Meta Nel caso di specie, l’Agcom, nell’ambito dell’attività di vigilanza d’ufficio, aveva rilevato la presenza di contenuti – video, immagini e collegamenti ipertestuali – riferiti al gioco d’azzardo, in violazione del divieto sancito dall’art. 9 del Decreto Dignità. A seguito delle risultanze istruttorie, l’Agcom aveva sanzionato Meta per aver permesso ad alcuni utenti business di effettuare sponsorizzazioni sul gioco d’azzardo nei confronti del pubblico italiano. Oltre alla sanzione pecuniaria, l’Agcom aveva altresì imposto alla società di impedire agli utenti business che avevano effettuato le sponsorizzazioni sul gioco d’azzardo oggetto della delibera, la promozione, attraverso la piattaforma Facebook, di contenuti identici o equivalenti, in violazione del divieto sancito dall’art. 9 del Decreto Dignità. Ai sensi dell’art. 9 del Decreto Dignità, per tutelare maggiormente il consumatore e in un’ottica di contrasto alla ludopatia, è vietata qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi con vincite di denaro e di gambling, comunque effettuata e su qualunque mezzo, ivi compresi i social media. Ambito di applicazione della norma In caso di violazione del divieto, sono responsabili dell’illecito: (i) il committente; (ii) il proprietario del mezzo o del sito di diffusione; (iii) il proprietario del mezzo o del sito di destinazione; e (iv) l’organizzatore dell’evento. Sul punto, l’Agcom aveva altresì chiarito che, oltre all’ambito soggettivo, anche l’ambito oggettivo di applicazione della norma risulta essere ampio, posto che, per quanto concerne tale ambito, la disposizione riguarda “sia la pubblicità diretta che quella indiretta su tutti i mezzi comunque realizzata (tv, radio, giornali, internet, social network, cartellonistica stradale etc.)”. L’Agcom aveva, pertanto, chiarito che si tratta di un “divieto generale che introduce una responsabilità oggettiva in capo ad una pluralità di soggetti tutti egualmente responsabili”. Oltre a quanto sopra, l’Agcom aveva altresì richiamato le specifiche Linee Guida adottate con la delibera n. 132/19/CONS (le “Linee Guida”) e volte a coordinare le nuove previsioni del Decreto Dignità con la disciplina di settore previgente, non incisa dall’intervento legislativo, e con i principi costituzionali e dell’Unione europea e contenenti, peraltro, chiarimenti interpretativi in ordine agli ambiti di applicazione oggettivo, soggettivo e territoriale dell’art. 9 del Decreto Dignità. In relazione all’oggetto del divieto, le Linee Guida, al par. 3.1., lett. c), chiariscono infatti che è vietata la pubblicità di scommesse e giochi con vincite in denaro da intendersi come “ogni forma di comunicazione diffusa dietro pagamento o altro compenso, ovvero a fini di autopromozione, allo scopo di promuovere la fornitura, dietro pagamento, di beni o di servizi, al fine di indurre il destinatario ad acquistare il prodotto o servizio offerto (c.d. call to action”). Sul punto, l’Autorità aveva inoltre precisato che il regime di responsabilità oggettiva previsto dall’art. 9 del Decreto Dignità si inserisce nell’ambito della disciplina nazionale a tutela della salute pubblica e del consumatore volta a contrastare la dipendenza dal gioco d’azzardo. In ragione di ciò, nel procedimento in oggetto, l’Agcom aveva affermato che non trovasse applicazione il regime di esenzione di responsabilità dell’hosting provider di cui al D.lgs n. 70/2003 – come invece sostenuto da Meta – ai sensi dell’art. 1, comma 2, lettera g) del menzionato D.lgs n. 70/2003 (e, in ogni caso, l’Autorità aveva ritenuto che la società fosse “edotta dei contenuti sponsorizzati e veicolati presso la piattaforma digitale Facebook al punto da consentirne la diffusione” venendo così meno le condizioni di cui all’art. 16 del D.lgs n. 70/2003 che consentono di applicare l’esenzione generale di responsabilità). Infatti, a discapito di quanto affermato da Meta, vale a dire che in quanto hosting provider passivo del servizio di social network Facebook dovesse essere escluso dall’ambito di applicazione di cui all’art. 9 del Decreto Dignità, l’Autorità aveva invece rilevato che “il riferimento normativo relativo al regime di esenzione di responsabilità in ragione della natura di hosting provider” non trovava applicazione nel caso di specie, poiché “i giochi d'azzardo, ove ammessi, che implicano una posta pecuniaria, i giochi di fortuna, compresi il lotto, le lotterie, le scommesse i concorsi pronostici e gli altri giochi come definiti dalla normativa vigente, nonché quelli nei quali l'elemento aleatorio è prevalente”, non rientrano in tale campo di applicazione (art. 1, comma 2, lett. g), D.Lgs. n. 70/2003). Sul punto, riteneva l’Autorità, “il legislatore italiano ha introdotto un divieto assoluto che non offre margini di discrezionalità” e tale conclusione risultava “rafforzata dal fatto che non c’è una normativa di rango eurounionale vincolante in materia di gambling”. A fondamento, l’Autorità aveva altresì ricordato quanto affermato dal Tribunale Amministrativo del Lazio nella sentenza n. 11036/2021 (disponibile sul sito di Giustizia Amministrativa, qui), vale a dire che “non esiste una puntuale normativa comunitaria sul gioco d’azzardo online e sulla relativa pubblicità” e conseguentemente che “gli Stati membri hanno il potere di emanare disposizioni finalizzate a contrastare la diffusione del gioco d’azzardo, ancorché le stesse possano determinare delle restrizioni all’offerta ed alla prestazione di servizi, anche nell’ambito della società dell’informazione”. Anche alla luce di ciò, non sarebbero esclusi dall’ambito di applicazione di cui all’art. 9 del Decreto Dignità nemmeno i soggetti stabiliti all’estero. Anche sulle Linee Guida poc’anzi richiamate si è espresso il Tar del Lazio, precisando che le stesse sono prive della natura di atto precettivo e “vanno qualificate sub specie di circolare interpretativa, le cui indicazioni, seppure volte ad indirizzare uniformemente l’attività degli uffici, possono essere motivatamente disattese dalla stessa autorità emanante, all’esito di diversa valutazione […]”. In aggiunta a quanto affermato dal Tribunale, l’Agcom aveva altresì ribadito che il legislatore europeo e nazionale identificano sempre più “un potere chiaro di intervento di rimozione da parte delle Autorità nazionali di regolazione dei contenuti illeciti caricati presso i servizi di condivisione di video online (c.d. video sharing platform)” (a titolo esemplificativo, si veda l’art. 41 del D.Lgs. 208/2021, c.d. TUSMA, nonché il Regolamento (UE) 2022/2065, c.d. Digital Services Act). I contenuti oggetto di provvedimento Nel caso di specie, l’Autorità aveva rilevato che i contenuti caricati sulla piattaforma Facebook risultavano “sponsorizzati” da Meta dietro pagamento di un utente business e si differenziavano quindi “da tutti gli altri contenuti caricati dagli utenti del servizio Facebook”. Infatti, come emerso dagli atti del procedimento, risultava che i “post” contenenti video e immagini relative a giochi con vincite in denaro e oggetto del provvedimento non erano soltanto ospitati sul server della stessa “con modalità puramente tecniche, passive ed automatiche”, ma erano sponsorizzati e comparivano come tali poiché le pagine di aziende commerciali avevano pagato un corrispettivo. Tale differenza è risultata, per l’Autorità, “determinante nel caso de quo”. Sul punto, l’Agcom aveva evidenziato che le inserzioni sponsorizzate su Facebook venivano (e vengono) visualizzate con un’apposita etichetta indicante la sponsorizzazione e che l’obiettivo, come statuito sul social media stesso, era (ed è) quello di “consentire alle aziende di poter raggiungere “persone che non hanno già familiarità con i loro prodotti e servizi” (tradotto dall’inglese) e fare pubblicità su Facebook”, permettendo agli utenti business di “raggiungere le persone che potrebbero interagire con loro in base alla loro posizione, ai loro interessi e ad altri fattori”. Inoltre, l’inserzione pubblicitaria non veniva pubblicata immediatamente ma veniva resa pubblica solo dopo almeno 24 ore, in modo da consentire a Meta di avere il tempo necessario a effettuare un controllo del contenuto per accertarne la conformità alle normative pubblicitarie della piattaforma. Tale controllo avveniva automaticamente prima della pubblicazione dell’inserzione, mediante un sistema di analisi basato su una tecnologia automatizzata e prevedeva anche un controllo umano, svolto da persone fisiche, le quali erano addette sia ad analizzare i sistemi automatizzati, per migliorarli, sia “direttamente incaricate, in alcuni casi, dell’analisi manuale delle inserzioni”. La procedura di analisi poteva avere ad oggetto diversi elementi quali, “gli elementi specifici delle inserzioni (come immagini, video, testo), così come altre informazioni, ad esempio quelle relative alla targhettizzazione o alla destinazione dell'inserzione[2]”. Al termine dell’analisi, vi poteva essere un rifiuto o un’autorizzazione alla pubblicazione dell’inserzione. E, in ogni caso, le inserzioni stesse potevano essere soggette a una seconda analisi, anche successiva alla pubblicazione. Nel caso di specie, i contenuti oggetto del provvedimento risultavano essere delle sponsorizzazioni che erano state sottoposte al controllo preventivo di cui sopra e che “la sponsorizzazione di contenuti che [promuovevano] giochi con vincite in danaro configura[va] una chiara ed inequivocabile violazione dell’articolo 9 del decreto dignità”. Richiamando nuovamente le Linee Guida, l’Agcom ricordava altresì che sarebbe da presumersi “promozionale, e quindi vietata, la comunicazione di contenuto informativo relativa al servizio di gioco effettuata in un contesto diverso da quello in cui viene offerto il servizio di gioco, atteso che in questo caso il consumatore potrebbe essere “spiazzato” dal c.d. “effetto sorpresa””. Alla luce di ciò, considerato che Facebook è concepito “per consentire la diffusione di una moltitudine di contenuti presso le pagine dei propri utenti, tra cui anche quelli sponsorizzati” e “in maniera tale da attrarre contenuti editoriali, specie sponsorizzati, aventi natura simile”: Al termine dell’attività istruttoria, l’Autorità aveva altresì rilevato che Meta “consente ai propri clienti business di promuovere presso il proprio servizio Facebook gaming e giochi d'azzardo online che prevedono l'uso di denaro o di valori monetari”, in violazione dell’art. 9 del Decreto Dignità. Sul punto, l’Agcom aveva infatti constatato la presenza di un’apposita sezione dedicata al servizio pubblicitario, contenente non solo tutte le specifiche condizioni per ogni argomento oggetto di sponsorizzazione, ma anche gli standard pubblicitari di Meta che “forniscono dettagli sulle normative e le linee guida relativamente ai tipi di contenuti pubblicitari consentiti e a quelli vietati”, ove vengono illustrati analiticamente i “contenuti non accettabili”, i “contenuti pericolosi” e i “contenuti sgradevoli”. Più nel dettaglio, Meta, indicando le restrizioni applicabili ai contenuti associati a determinati tipi di attività, specificherebbe che i siti di gambling e di giochi con vincite di denaro potrebbero essere promosse dai propri utenti business. Meta specificherebbe tuttavia che “le inserzioni che promuovono gioco d'azzardo e gaming online in cui sia richiesto un valore monetario per giocare (inclusi contanti o valute digitali/virtuali, ad esempio i bitcoin) e vi sia in palio un valore monetario di qualunque genere” sono ammesse solo “previa autorizzazione scritta” da parte della società stessa, mentre non richiamerebbe in alcun modo le normative nazionali, quali ad esempio quella italiana che vieta espressamente la promozione del gioco d’azzardo, ma anzi prevederebbe la possibilità per gli utenti business di “poter targettizzate le proprie sponsorizzazioni proprio verso l’Italia”. Stando a quanto contenuto nell’ordinanza, pertanto, Meta sarebbe stata tenuta a impedire la pubblicazione, da parte degli utenti business autori dei contenuti sponsorizzati oggetto di provvedimento, di ulteriori post identici o equivalenti a quelli in violazione della normativa relativa alla pubblicità del gioco d’azzardo. Conclusioni Alla luce di quanto sopra (e sebbene l’ordinanza del Tar abbia natura cautelare e possa essere cassata dal Consiglio di Stato), risulta sempre più confermato come anche le big tech siano tenute a rispettare la normativa vigente e, come nel caso di specie, a vigilare sui contenuti che circolano sulle loro piattaforme, mediante lo svolgimento di specifiche attività di controllo preventivo tramite filtri, nel rispetto di obblighi di monitoraggio, seppur a discapito degli operatori di social media, a causa delle elevate spese per la moderazione dei contenuti. In caso di violazione, infatti, anche queste società potrebbero vedere esercitato nei loro confronti il potere sanzionatorio conferito alle autorità competenti. Il provvedimento di Agcom emesso nei confronti di Meta per la violazione del divieto di cui all’art. 9 del Decreto Dignità non è il primo. Negli ultimi anni Agcom ha sanzionato altre big tech, tra cui Google Ireland Limited, con le ordinanze ingiunzioni n. 275/22/CONS e n. 541/20/CONS, per aver violato la normativa sul divieto di pubblicità relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro previsto dal Decreto Dignità. In particolare, nell’ottobre del 2020, l’Agcom aveva comminato a Google una sanzione pecuniaria pari a 100 mila euro. In quel caso, l’Autorità aveva evidenziato come la società, titolare di un servizio di indicizzazione e promozione di siti web denominato “Google Ads”, avesse consentito, attraverso il servizio di posizionamento pubblicitario online, la diffusione, mediante versamento di un corrispettivo, di link che indirizzavano verso determinati siti di giochi d’azzardo (c.d. landing page), in violazione dell’art. 9 del Decreto Dignità. Nel 2022, l’Autorità aveva sanzionato nuovamente Google per una somma pari a 750 mila euro, stavolta, però, per la diffusione, sul servizio di piattaforma per la condivisione di video “YouTube”, di pubblicità di siti di gioco d’azzardo, in violazione del Decreto Dignità. Nel caso di specie, l’Agcom aveva sanzionato non soltanto la società poiché rientrante tra i destinatari della norma in qualità di “proprietaria del sito web o del mezzo di diffusione o di destinazione”, ma anche il creator dei video caricati sui canali YouTube, poiché emergeva chiaramente la promozione all’accesso a diversi siti di gioco d’azzardo. Oltre alla sanzione pecuniaria, l’Agcom aveva altresì ordinato la rimozione dei contenuti ritenuti illegittimi e aveva vietato la diffusione di video simili, che potevano porre in essere ulteriori comportamenti in violazione dell’art. 9 del Decreto Dignità. Anche in questo caso, la società sanzionata aveva impugnato il provvedimento dell’Autorità, facendo ricorso al Tar. Tuttavia, diversamente da quanto avvenuto con Meta, il Tribunale Amministrativo del Lazio aveva accolto l’istanza cautelare di sospensione del provvedimento presentata da Google. Sul punto, i giudici avevano ritenuto che il ricorso presentasse profili di fondatezza alla luce di diversi elementi: Alla luce di tali considerazioni, il Tar aveva evidenziato come nel caso di specie non appariva “rilevante, per affermare il ruolo attivo dell’hosting provider, la circostanza della conclusione di un contratto di partnership con l’utente”. Accolta la richiesta di sospensione del provvedimento sanzionatorio emesso dall’Agcom, è stata altresì fissata l’udienza per la trattazione di merito del ricorso alla data del 18 luglio 2023. Di seguito la copia integrale dell’ordinanza del Tar: [1] L’Agcom, oltre a sanzionare la Società, ha applicato anche il principio del c.d. “notice & stay down”. Tale principio, indicato già all’interno della Direttiva (UE) 2019/790 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale, recepito nell’ordinamento nazionale dal D.Lgs. 177/2021, concerne la responsabilità in capo agli hosting provider passivi di rimuovere non soltanto i contenuti che violano le normative vigenti, ma anche di agire affinché contenuti identici o equivalenti a quelli oggetto di contestazione, provvedimento e sanzione non vengano più pubblicati sulle piattaforme. [2] La destinazione di un'inserzione è il luogo in cui questa indirizzerà le persone che vi cliccano sopra, ad esempio una pagina web.