La recente sentenza del Tar, n. 261/2020, pubblicata il 10 gennaio 2020, ha stabilito che il valore economico dei dati dell’utente impone al professionista di comunicare al consumatore che le informazioni ricavabili dai suoi dati potranno essere usate per fini commerciali e, in quanto tali, dovranno considerarsi la “contro-prestazione” dei servizi offerti su internet. Nel caso di specie, l’AGCM aveva avviato un procedimento istruttorio nei confronti di Facebook Inc e Facebook Ireland Ltd. (congiuntamente “Facebook”) in relazione a presunte pratiche commerciali scorrette, per violazione degli art. 21 (pratiche commerciali ingannevoli) e 22 (pratiche commerciali aggressive) del D.Lgs. 206/2005 (“Codice del Consumo”). Il Tar, interpellato sulla questione, ha ritenuto sussistente solo la violazione dell’art. 21 del Codice del Consumo, ritenendo Facebook responsabile di aver posto in essere condotte ingannevoli nei confronti degli utenti iscritti alla piattaforma. Ai sensi dell’art. 20 del Codice del Consumo, una pratica commerciale è considerata “scorretta” se: (i) è contraria alla diligenza professionale; (ii) è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio. In particolare, ai sensi dell’art. 21 del Codice del Consumo, una pratica è considerata “ingannevole” se: (i) contiene informazioni non rispondenti al vero; o (ii) seppur di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea a indurre in errore il consumatore medio […] e, in ogni caso, (iii) lo induce, o è idonea ad indurlo, ad assumere una decisione di natura commerciale che altrimenti non avrebbe preso. L’AGCM ha considerato ingannevole il fatto che Facebook, attraverso la pubblicizzazione dello slogan “Iscriviti è gratis e lo sarà per sempre”, avesse fatto credere ai propri utenti che l’iscrizione al social network fosse gratuita, senza però fornire all'utente, in modo altrettanto chiaro ed evidente, un’informativa in merito alle attività di raccolta e utilizzo, a fini commerciali, dei loro dati. Il messaggio veicolato dallo slogan, quindi, era da considerarsi un’informazione non veritiera e fuorviante in quanto la raccolta e lo sfruttamento economico dei dati dell’utente configurava come contro-prestazione del servizio offerto dal social network. L’AGCM, sul punto, ha infatti precisato che “i ricavi provenienti dalla pubblicità on line, basata sulla profilazione degli utenti a partire dai loro dati, costituiscono l’intero fatturato di Facebook Ireland Ltd. e il 98% del fatturato di Facebook Inc.”. Il Tar, chiamato a pronunciarsi sul tema, ha preliminarmente affrontato la questione relativa al difetto assoluto di attribuzione dell’AGCM eccepito da Facebook. Quest’ultimo riteneva che, non essendoci un corrispettivo patrimoniale del consumatore e dunque un interesse economico dello stesso, l’AGCM non fosse competente ad indagare sul tema, dovendosi devolvere la questione all'Autorità Garante per la protezione dei dati personali (“Garante Privacy”) – unica competente a dirimere il caso di specie. Sul punto il Tar ha chiarito che, sebbene il Garante Privacy sia competente in materia di trattamento illecito di dati, nel caso in oggetto, l’AGCM aveva comunque la facoltà di esercitare il suo potere a tutela dei consumatori in quanto, afferma il Tar, “a fronte della tutela del dato personale quale espressione di un diritto della personalità dell’individuo, e come tale soggetto a specifiche e non rinunciabili forme di protezione, quali il diritto di revoca del consenso, di accesso, rettifica, oblio, sussiste pure un diverso campo di protezione del dato stesso, inteso quale possibile oggetto di una compravendita, posta in essere sia tra gli operatori del mercato che tra questi e i soggetti interessati”. I dati personali, quindi, possono “costituire un “asset” disponibile in senso negoziale, suscettibile di sfruttamento economico e, quindi, idoneo ad assurgere alla funzione di “controprestazione” in senso tecnico di un contratto”. E dunque, il fenomeno della "patrimonializzazione" del dato personale, tipico delle nuove economie dei mercati digitali, impone agli operatori di rispettare, nelle relative transazioni commerciali, quegli obblighi di chiarezza, completezza e non ingannevolezza delle informazioni previsti dalla legislazione a protezione del consumatore, che deve essere reso edotto dello scambio di prestazioni che è sotteso alla adesione ad un contratto per la fruizione di un servizio, quale è quello di utilizzo di un "social network”.