La Direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea, adottata nell’ottobre del 2011, disciplina i diritti dei consumatori nell’ambito dei contratti a distanza, stabilendo una serie di diritti contrattuali a favore degli stessi, nonché diversi obblighi informativi e relative sanzioni, in caso di mancata osservanza, in capo al professionista (la “Direttiva”). L’ambito di applicazione della Direttiva si estende a tutti i rapporti business to consumer (“B2C”), ove si è in presenza di un professionista, da un lato, e di un consumatore, dall’altro. Lo scopo della Direttiva è quello di semplificare, aggiornare e uniformare le regole applicabili alla tipologia dei contratti a distanza e di quelli negoziati fuori dai locali commerciali, ivi inclusi i contratti a distanza conclusi attraverso modalità telematiche. La controversia In data 7 aprile 2022, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (“CGUE” o “Corte”) si è pronunciata nella causa Fuhrmann-2-GmbH contro B. (C-249/21) (la “Pronuncia”), a seguito di una domanda di rinvio pregiudiziale, in merito all’interpretazione dell’art. 8, par. 2, secondo comma, della Direttiva, ove il Tribunale di Bottrop, Germania, chiedeva, in sostanza, se, nell’ambito di un processo di inoltro di un ordine relativo alla conclusione di un contratto a distanza con mezzi elettronici, la formulazione presente sul pulsante di inoltro “conferma la prenotazione” corrispondesse alla dicitura “ordine con obbligo di pagare” prevista dalla normativa in esame e se, ai fini di tale verifica, occorreva basarsi soltanto sulla dicitura riportata sul pulsante o era possibile prendere in considerazione le altre circostanze che accompagnavano il processo di inoltro dell’ordine. In particolare, la controversia vedeva coinvolte una società di diritto tedesco proprietaria di una struttura alberghiera (la “Società”), la quale si appoggiava, per la locazione delle camere dell’hotel, anche a una piattaforma di prenotazione di alloggi online (i.e. Booking.com), e un consumatore tedesco il quale, interessato ad alcune camere del suddetto hotel, decideva di sfruttare la piattaforma di intermediazione e prenotava le stanze cliccando sul tasto “prenoto” e, successivamente, sul pulsate recante la dicitura “completa la prenotazione”. La questione giungeva al Tribunale tedesco a seguito del mancato saldo da parte del consumatore delle spese di cancellazione: il consumatore non si era presentato nelle date prenotate e la Società aveva addebitato allo stesso le suddette spese. La Società aveva, infatti, deciso di procedere per il recupero giudiziale della somma dal momento che riteneva la dicitura “conferma la prenotazione”, inserita dal gestore del sito Internet di intermediazione, sufficiente a far riconoscere espressamente al consumatore che l’ordine implicava l’obbligo di pagamento. Nella Pronuncia, la Corte richiama la normativa in esame, sottolineando che, in un contratto a distanza concluso con mezzi elettronici, il professionista deve garantire che, al momento di inoltrare l’ordine, il consumatore riconosca espressamente l’obbligo di pagare derivante dall’inoltro e che, qualora l’inoltro dell’ordine venga azionato dall’attivazione di un pulsante o di una funzione analoga, tale pulsante o funzione devono riportare in modo facilmente leggibile le parole “ordine con obbligo di pagare” o una formulazione corrispondente inequivocabile indicante che il fatto di inoltrare l’ordine implichi l’obbligo, per il consumatore, di pagare il professionista. Nel caso di specie, la CGUE ha, pertanto, censurato l’operato della Società, constatando che la sua condotta potrebbe essere in contrasto con la normativa che disciplina i diritti dei consumatori e specificando che spetta al giudice del rinvio verificare se, nel procedimento principale, la formulazione utilizzata possa essere considerata corrispondente alla dicitura “ordine con obbligo di pagare” o a qualsiasi altra formulazione inequivocabilmente corrispondente. Invero, come già riportato nell’interrogativo del giudice tedesco, il termine “prenotazione”, contenuto nel pulsante che aziona l’ordine con obbligo di pagamento, non viene necessariamente associato, nel linguaggio corrente, all’obbligo di pagare un corrispettivo, ma viene spesso utilizzato anche come sinonimo di “riservare o ordinare preventivamente a titolo gratuito”. La Corte, inoltre, precisa anche che debba essere il pulsante o la funzione analoga a contenere la dicitura “ordine con obbligo di pagare” o a qualsiasi altra formulazione inequivocabilmente corrispondente, mentre non sono considerati equiparabili riferimenti all’obbligo di pagamento nel modulo dell’ordine o in altri punti della sito web stesso. Infine, nella Pronuncia si legge, il rispetto di tale obbligo informativo non inficia la libertà di impresa dell’imprenditore, atteso che “la redazione o la modificazione di una dicitura presente su un pulsante o su una funzione di inoltro elettronica di un ordine non implica alcun onere significativo tale da nuocere alla competitività o alla libertà di impresa dei professionisti interessati”. La disciplina italiana Seppur la domanda di pronuncia pregiudiziale sia stata presentata nell’ambito di una controversia tra una società di diritto tedesco e un consumatore tedesco, occorre tenere presente che il rinvio pregiudiziale alla CGUE, ex art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, viene provocato da un’ordinanza del giudice nazionale, con la quale lo stesso solleva una questione interpretativa su una norma europea e la sentenza della Corte - giuridicamente vincolante - è da ritenersi l’interpretazione ufficiale in merito alla questione e come tale produce effetto in tutti gli Stati membri - ivi compresa l’Italia - e le relative autorità di controllo. Ma procediamo per gradi. Sul piano nazionale, il contratto, indipendentemente dal mezzo tecnico utilizzato, si ritiene concluso quando il proponente viene a conoscenza dell’accettazione dell’altra parte, ex art. 1326 c.c.. La proposta e l’accettazione nell’ambito dei contratti digitali possono essere portati a conoscenza del destinatario e, quindi, il contratto può ritenersi perfezionato, tramite lo scambio di e-mail oppure tramite la pressione del c.d. tasto negoziale virtuale (point and click). In particolare, l’art. 8, par. 2, secondo comma, della Direttiva è stato recepito in maniera letterale dall’art. 51, secondo comma, del D.lgs. n. 206/2005 (il “Codice del Consumo”) il quale è dedicato ai requisiti formali per i contratti a distanza e, in generale, rientra fra le norme che disciplinano la tutela del consumatore in ambito digitale. L’articolo in esame specifica che, nell’ambito di un contratto a distanza concluso con mezzi elettronici che impone al consumatore l’obbligo di pagare, il professionista deve non solo comunicare in modo chiaro ed evidente alcune specifiche informazioni, ma anche garantire che il consumatore, al momento di inoltrare l’ordine, riconosca espressamente che tale inoltro implichi l’obbligo di pagare. Inoltre, specifica la norma, qualora il professionista non osservi tali obblighi, il consumatore non sarà vincolato dal contratto o dall’ordine. Le possibili implicazioni della Pronuncia L’interpretazione restrittiva della Corte in merito a quanto previsto dalla normativa potrebbe avere delle ripercussioni anche sui siti e-commerce nazionali. Invero, qualora tali piattaforme B2C, nella creazione dei pulsanti di accettazione online per l’inoltro di ordini e l’accettazione contrattuale, non riportino in modo facilmente leggibile le parole “ordine con obbligo di pagare” o una formulazione corrispondente inequivocabile indicante che l’inoltro dell’ordine implica l’obbligo di pagare il professionista, potrebbero vedersi, in sede giudiziale, non riconosciuto come vincolante il contratto stipulato a seguito del point and click e dunque, in caso di mancato pagamento da parte dei consumatori, essere impossibilitati ad impugnare il pagamento. In conclusione, occorre ora chiedersi se la dicitura inserita sul pulsante – o la funzione analoga – ai fini dell’accettazione contrattuale possa essere associata al sorgere di un obbligo di pagare “tanto nel linguaggio corrente quanto nella mente del consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto”. In caso negativo, si evidenzia, la dicitura non sarebbe inequivocabile e quindi non rispetterebbe il requisito di legge ripercuotendosi, potenzialmente, sull’esistenza del vincolo contrattuale tra il professionista e il consumatore.