Di recente, il Consiglio di Stato (“Consiglio di Stato” o “Consiglio”) è stato chiamato a pronunciarsi in relazione ai poteri regolatori dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (“Agcom”) in tema di telefonia mobile e fissa, esercitati mediante l’adozione di misure relative al periodo di fatturazione e alla conoscibilità, per l’utente, del credito residuo sulla propria SIM. Con l’ordinanza n. 5588 dello scorso 24 settembre (“Ordinanza”), la sesta sezione del Consiglio di Stato ha preliminarmente invitato la Corte di Giustizia dell’Unione europea (“CGUE” o “Corte”) a chiarire la portata dell’obbligo di rinvio di cui all’art. 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (“TFUE”), sollevando, altresì, ulteriori questioni pregiudiziali circa l’interpretazione e la corretta applicazione di disposizioni e principi di matrice europea, rilevanti nell’ambito della causa principale. I fatti alla base della pronuncia del Consiglio di Stato Il 19 ottobre 2016 - con la delibera n. 462/16/CONS - l’Agcom aveva avviato una consultazione pubblica per modificare la delibera n. 252/16/CONS recante “misure a tutela degli utenti per favorire la trasparenza e la comparazione delle condizioni economiche dell’offerta dei servizi di comunicazione elettronica”, al fine di far fronte ad alcune criticità riscontrate nella prassi applicativa in relazione alla telefonia fissa e mobile.[1] In particolare, con riferimento alla telefonia mobile, l’Autorità aveva constatato che la conoscibilità in modalità gratuita del credito residuo era garantita soltanto attraverso l’utilizzo di mobile app o siti internet, discriminando così tutti gli utenti che non possiedono uno smartphone e/o non usano internet (nel 2016, pari al 47% dei possessori di schede SIM[2]). Quanto alla telefonia fissa, l’Agcom aveva riscontrato sul mercato offerte a cadenza mensile ed altre a cadenza su base settimanale, con conseguente pregiudizio per le esigenze sia di trasparenza e comparabilità delle condizioni economiche di offerta sia di governabilità della spesa contrattuale, resa già difficoltosa dalla modalità post pagata dei servizi largamente in uso nel settore. Diversamente, nel mercato della telefonia mobile, da un lato, l’utilizzo di schede pregate[3] consente agli utenti di controllare agevolmente il livello di spesa (e.g., non ricaricando il proprio credito) e, dall’altro, buona parte degli operatori di mercato aveva già adottato un periodo di rinnovo basato sulle quattro settimane, assicurando così una facile comparazione delle offerte. Inoltre, contrariamente a quanto avviene nella telefonia fissa, gli utenti dei servizi di telefonia mobile possono essere immediatamente avvisati - tramite un SMS - di ogni eventuale modifica apportata all’offerta, ivi compreso il periodo di rinnovo della stessa. Pertanto, all’esito della procedura di consultazione pubblica, l’Agcom ha adottato la delibera n. 121/17/CONS del 15 marzo 2017 (“Delibera”), stabilendo: La vicenda processuale La Delibera è stata impugnata dinnanzi al Tribunale Amministrativo per la Regione Lazio (“TAR Lazio”) da Fastweb S.p.A., Wind Tre S.p.A., TIM S.p.A. e Vodafone Italia S.p.A. (congiuntamente, i “Ricorrenti”) che, con distinti ricorsi, hanno censurato la legittimità delle misure regolatorie sotto numerosi profili, tra cui: Il TAR Lazio ha rigettato i ricorsi, rilevando che il potere regolatorio dell’Agcom trova fondamento nella legge e, in particolare, negli artt. 13, commi 4 e 6, e 71 del D.Lgs. n. 259/2003 (“Codice delle comunicazioni elettroniche”) e nell’art. 1, comma 6, n. 2 della Legge n. 249/1997, nonché che le misure regolatorie risultano proporzionate e non violano il principio parità di trattamento e di non discriminazione. Avverso le predette pronunce, i Ricorrenti hanno proposto quattro distinti appelli, poi riuniti, insistendo sull’invalidità della Delibera per carenza di potere[4] e sulla violazione dei summenzionati principi. La ricostruzione operata dal Consiglio di Stato e il rinvio pregiudiziale alla CGUE Chiamato a pronunciarsi nella controversia, il Consiglio, pur escludendo la ricorrenza di ragionevoli dubbi interpretativi, ha concluso di non riuscire a dimostrare con certezza che l’interpretazione data alla normativa europea pertinente al caso in esame si affermi anche presso i giudici nazionali degli altri Stati membri o presso la stessa CGUE. Per tale ragione, il Consiglio di Stato ha innanzitutto sottoposto alla CGUE una questione di natura preliminare e procedurale, chiedendo di chiarire se la corretta interpretazione dell’art. 267 TFUE imponga al giudice nazionale di ultima istanza di operare il rinvio pregiudiziale su una questione di interpretazione del diritto dell’UE rilevante nell’ambito della controversia principale qualora “possa escludersi un dubbio interpretativo sul significato da attribuire alla pertinente disposizione europea” ma “non sia possibile provare in maniera circostanziata […]che l’interpretazione fornita dal Collegio procedente sia la stessa di quella suscettibile di essere data dai giudici degli altri Stati membri e dalla Corte di Giustizia ove investiti di identica questione”.[5] In subordine, ove la CGUE dovesse propendere per la necessità del rinvio, il Consiglio di Stato ha sollevato tre ulteriori questioni pregiudiziali sull’interpretazione e la corretta applicazione del diritto dell’Unione europea e in, particolare, in relazione alla base giuridica del potere di regolamentare la cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione, nonché al rispetto - nel caso di specie - del principio di proporzionalità e di quello di parità di trattamento e non discriminazione. La base giuridica del potere di regolamentare la cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione A parere del Consiglio, la normativa interna risulta idonea a fondare il potere in capo all’Agcom di limitare l’autonomia contrattuale degli operatori, benché non preveda espressamente la possibilità di adottare un atto di regolamentazione sulla cadenza di rinnovo delle offerte e delle fatturazioni. Ciò in quanto, in taluni settori connotati da un particolare tecnicismo, il legislatore sancisce unicamente gli obiettivi di tutela da perseguire e affida alle autorità amministrative indipendenti (tra cui l’Agcom) il compito di individuare e adottare le misure di volta in volta necessarie a perseguire tali obiettivi, avuto riguardo all’effettivo stato del mercato di riferimento.[6] Alla luce di quanto precede, la giurisprudenza nazionale ha già da tempo riconosciuto il potere, in capo alle autorità amministrative indipendenti, di adottare misure di regolamentazioni idonee a limitare l’autonomia negoziale degli operatori economici, anche attraverso un’eterointegrazione del contenuto dei contratti e pure nell’ambito di mercati liberalizzati (come quelli della telefonia mobile e fissa). [7] Similarmente, nell’ambito del quadro normativo armonizzato espresso dalle direttive 2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/21/CE e 2002/22/CE sono individuati esclusivamente gli obiettivi di tutela da perseguire e gli ambiti di attività entro cui si possono esplicare i poteri delle Autorità nazionali di regolamentazione (“ANR”), le quali possono “valutare caso per caso la necessità di regolamentare un mercato in funzione della singola situazione” e “imporre obblighi alle impese”.[8] Sul punto, pertanto, il Consiglio di Stato ritiene che la mera regolamentazione della cadenza di rinnovo contrattuale e del periodo di fatturazione non sembrerebbe essere incompatibile con la corretta interpretazione della normativa europea, tenuto conto - inter alia - che: Infine, il potere di regolamentare in commento non esclude lo ius variandi degli operatori di telefonia, ma lo limita mediante la previsione di una cadenza di fatturazione e rinnovo contrattuale minima, oltre la quale gli operatori di telefonia sono liberi di definire le corrispondenti condizioni contrattuali.[11] Il rispetto del principio di proporzionalità Sulla scorta della giurisprudenza nazionale, il rispetto del principio di proporzionalità richiede che la misura adottata dall’Amministrazione sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito, non determini un eccessivo sacrificio per gli interessi privati attinti e sia tale da poter essere effettivamente sostenuta dal destinatario.[12] Tale impostazione risulta coerente con quella già da tempo adottata dalla CGUE, secondo cui il principio di proporzionalità richiede che gli atti emessi dalle ANR siano idonei a realizzare i legittimi obiettivi perseguiti e non eccedano i limiti di quanto è necessario alla realizzazione degli stessi, sempreché gli inconvenienti causati non siano sproporzionati rispetto allo scopo e non sia possibile ricorre a una misura appropriata meno restrittiva.[13] Nel caso di specie, il Consiglio di Stato ritiene che una previsione regolatoria volta ad imporre un parametro temporale di rinnovo e fatturazione uguale per tutte le offerte commerciali sembrerebbe adeguata a tutelare l’utenza e, in particolare, quella porzione bisognosa di una protezione rafforzata (si pensi agli anziani che, per esempio, difficilmente utilizzano app mobile e internet). Sul punto, il Consiglio di Stato precisa che non risulterebbero altrettanto efficaci le ulteriori e diverse misure prospettate dai Ricorrenti, quali ad esempio la previsione di guide interattive o di un motore di calcolo volto a raffrontare le offerte sulla base del medesimo parametro temporale (che richiederebbero il possesso di internet e una condotta proattiva da parte dell’utente) o l’imposizione di un obbligo di pubblicare la proiezione del prezzo (che potrebbe ingenerare confusione in ordine al corrispettivo effettivamente dovuto). Parrebbe ragionevole, inoltre, la previsione in forza della quale, in caso di offerte convergenti, prevale la cadenza relativa alla telefonia fissa, essendo questa idonea - secondo il Consiglio - a realizzare le esigenze di tutela dell’utenza nei diversi mercati. Infine, il principio di proporzionalità risulta rispettato anche laddove si consideri che gli operatori di telefonia continuerebbero ad essere liberi di determinare il prezzo contrattuale del servizio e potrebbero comunque variare la cadenza di fatturazione e di rinnovo contrattuale entro i limiti determinati dall’Autorità. Il rispetto del principio di parità di trattamento e di non discriminazione Secondo la giurisprudenza della CGUE, la disparità di trattamento in un determinato contesto assume rilievo in presenza di situazioni analoghe,[14] da accertare in modo specifico e concreto. Nel caso di specie, a giudizio del Consiglio di Stato, le peculiarità dei mercati di telefonia mobile e fissa - già diversificati per prassi commerciali e modalità di pagamento - impediscono la comparabilità tra le due fattispecie e ostano alla violazione dei principi di non discriminazione e di parità di trattamento. In particolare, nel mercato della telefonia mobile sussiste una diffusa prassi applicativa incentrata su una cadenza di rinnovo contrattuale e di fatturazione a 28 giorni e su modalità di pagamento prepagate, idonee a garantire un maggiore controllo della spesa. In tale contesto, le informazioni strumentali a garantire la consapevolezza della spesa contrattuale possono esaurirsi nell’imposizione dell’obbligo di informare il cliente in ordine al credito residuo e al rinnovo delle offerte, non essendo comunque possibile l’addebito di costi superiori al credito disponibile. Viceversa, nel mercato della telefonia fissa in cui non sussiste una prassi definita in tema di cadenza di rinnovo contrattuale e di fatturazione e il pagamento è posticipato, si rende necessario stabilire scadenze contrattuali a giorno fisso, agevolando così la comparabilità delle offerte e la contezza degli esborsi dovuti dagli utenti. Conclusioni La complessa ricostruzione operata dal Consiglio fornisce al lettore un quadro chiaro e deciso del perimetro entro il quale si possono esplicare i poteri di regolamentazione dell’Agcom, che ha, tra gli altri, il compito di assicurare che gli utenti possano usufruire di dati di confronto tra le tariffe accurati e completi, nonché governare la spesa generata dal rapporto contrattuale con gli operatori. Nell’ambito di mercati competitivi caratterizzati da un’altissima velocità evolutiva, risulta essenziale che tali obiettivi possano essere correttamente perseguiti autonomamente dall’Autorità, aggiornando costantemente la regolamentazione vigente in materia e assicurando, di conseguenza, il rispetto dei diritti degli utenti sanciti dalla normativa applicabile in materia di servizi di comunicazioni elettroniche. Ciononostante, come anticipato, il Consiglio di Stato ha ravvisato l’impossibilità di dimostrare con certezza che la ricostruzione in precedenza sintetizzata sia conforme all’interpretazione eventualmente affermatasi presso i giudici degli altri Stati membri o la stessa CGUE in casi analoghi. Spetterà pertanto alla CGUE chiarire - ove sussista l’obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE - se la corretta interpretazione della normativa europea rilevante nel caso di specie, nonché dei principi di proporzionalità, di parità di trattamento e di non discriminazione osti all’adozione delle misure contenute della Delibera, “volte a imporre: i) per la telefonia mobile, una cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione non inferiore a quattro settimane con la contestuale previsione dell’obbligo per i relativi operatori economici che adottino una cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione su base diversa da quella mensile, di informare prontamente l’utente, tramite l’invio di un SMS, dell’avvenuto rinnovo dell’offerta; ii) per la telefonia fissa, una cadenza di rinnovo delle offerte e della fatturazione su base mensile o suoi multipli; iii) in caso di offerte convergenti con la telefonia fissa, l’applicazione della cadenza relativa a quest’ultima”. [1] L’art. 2, par. 1, lett. c) della Direttiva 2002/21/CE definisce i “servizi di comunicazione elettronica” come quei “servizi forniti di norma a pagamento consistenti esclusivamente o prevalentemente nella trasmissione di segnali su reti di comunicazioni elettroniche, compresi i servizi di telecomunicazioni e i servizi di trasmissione nelle reti utilizzate per la diffusione circolare radiotelevisiva”, restando esclusi i servizi di controllo dei contenuti editoriali e i servizi della società dell’informazione che non comportano la trasmissione di segnali. Sul punto, si precisa che l’art. 2, par. 1, lett. d), Direttiva 2002/58/CE, nel definire cosa si intende per “comunicazioni”, espressamente esclude “le informazioni trasmesse, come parte di un servizio di radio- diffusione, al pubblico tramite una rete di comunicazione elettronica salvo quando le informazioni possono essere collegate all’abbonato o utente che riceve le informazioni che può̀ essere identificato”. [2] Dato riportato nell’Allegato B alla Delibera n. 462/16/CONS, disponibile al seguente link: www.agcom.it/documents/10179/6072524/Allegato. [3] Circa il 76,4% della customer base (dato riportato nel summenzionato Allegato B). [4] Per “carenza di potere” s’intende, appunto, l’ipotesi in cui l’Amministrazione assume di esercitare un potere che in realtà nessuna norma le attribuisce. [5] Sul punto, si precisa che la Corte ha avuto modo di chiarire che “un giudice, le cui decisioni non siano impugnabili secondo l’ordinamento interno, è tenuto, qualora una questione di diritto comunitario sorga dinanzi al medesimo, ad adempiere il proprio obbligo di rinvio, salvo che non abbia rilevato che la corretta applicazione del diritto dell’Unione si imponga con tale evidenza da non lasciar spazio ad alcun ragionevole dubbio, ove l’esistenza di tale eventualità debba essere valutata in funzione delle caratteristiche proprie del diritto dell’Unione, delle specifiche difficoltà che la sua interpretazione presenta e del rischio di divergenze giurisprudenziali all’interno dell’Unione” (CGUE, sez. I, 28 luglio 2016, C-379/15, Association France Nature Environnement). [6] In questo senso, il potere autoritativo conferito alle Autorità amministrative indipendenti è in ogni caso controbilanciato da un potenziamento del principio di legalità procedimentale, con meccanismi di “notice and comment” incentrati sull’avvio di pubbliche consultazioni, che consentono agli operatori del mercato di presentare le proprie osservazioni sulla misura da adottare nel caso concreto. [7] Consiglio di Stato, sez. VI, 24 febbraio 2020, n. 1368. [8] CGUE, sez. II, 19 ottobre 2016, C-424/15, Xabier Ormaetxea Garai. [9] Sul punto, si precisa che la CGUE ha già da tempo riconosciuto che un giudice nazionale può valutare un obbligo imposto da una ANR “alla luce degli obiettivi enunciati all'art. 8 direttiva 2002/21 […] e tenere conto del fatto che detto obbligo intende promuovere gli interessi degli utenti finali” (CGUE, sez. II, 15 settembre 2016, C-28/15, Koninklijke KPN NV). [10] In particolare, il Consiglio ha sottolineato che la forma con cui il prezzo deve essere pubblicato “potrebbe comprendere non solo il canale informativo in concreto da utilizzare, ma anche il modo attraverso cui l’elemento deve essere portato a conoscenza dell’utenza, anche prevedendo un parametro di riferimento omogeneo […e] tale parametro potrebbe essere quello temporale”. [11] Sul punto, la Corte ha chiarito che lo ius variandi configura un interesse legittimo dell’operatore economico a modificare i prezzi e le tariffe dei loro servizi e, quindi, non può essere considerato un diritto soggettivo insuscettibile di limitazione (CGUE, sentenza del 26 novembre 2015, in causa C 326/14, Verein für Konsumenteninformation). [12] Consiglio di Stato, sez. III, sent. 26 giugno 2019, n. 4403). [13] Sul punto, la Corte ha precisato che “incombe alle autorità nazionali l'onere di dimostrare che […la] normativa è conforme al principio di proporzionalità, ossia è necessaria per il raggiungimento dell'obiettivo perseguito, e che quest'ultimo non potrebbe essere raggiunto attraverso divieti o limitazioni di minore portata o che colpiscano in minor misura il commercio nell'ambito dell'Unione” (CGUE, sez. II, 23 dicembre 2015, C-333/14, Scotch Whisky Association e a.). [14] Sul punto, CGUE, sez. I, 19 luglio 2017, C-143/16, Abercrombie & Fitch Italia Srl.